La villa zognese, che dal 1985 ospita la Biblioteca Comunale "B. Belotti" e la "Casa Museo" , venne realizzata nel 1906 per il notaio Ulisse Cacciamali dall'architetto bergamasco Giovanni Barboglio, autore a Zogno anche di edifici pubblici e della vecchia scalinata alla parrocchiale, ma più famoso in Lombardia per la costruzione o il restauro di chiese. Nel 1913 la acquistò Bortolo Belotti, che era interessato ad avere un punto d'appoggio per affrontare l'impegnativa campagna elettorale per il seggio parlamentare, che lo vedeva contrapposto al deputato uscente Egildo Carugati, appoggiato dai liberali di Giolitti e dai cattolici. Su richiesta del Belotti, il Barboglio trasfomò l'abitazione da civile in signorile, con il recupero del seminterrato e la costruzione di uno studio esterno e di un portichetto. Contemporaneamente, l'ampio prato a sud dell'abitazione veniva trasformato in giardino con alberi pregiati, vialetti e gradinate. La cura della villa e del giardino accompagnò il successo politico di Bortolo Belotti che, da giovanissimo deputato, divenne sottosegretario, ministro e leader della destra liberale. L'opposizione al fascismo ne determinò l'allontanamento dalla politica attiva e, quasi come compensazione, Belotti iniziò ad intervenire sul giardino e ad arricchirlo di opere d'arte particolarmente significative. Gli interventi si susseguirono in tre fasi principali: 1928 - 29,1931 - 33 e 1937 - 40. Particolarmente ricca è la prima fase con l'ideazione del Convito dei Grandi Brembani, undici busti di uomini di grande fama di famiglia originaria della Val Brembana, eseguiti dallo scultore bergamasco Nino Galizzi. Di questi nove sono raccolti a semicerchio nella parte pianeggiante del parco: sono i grandi vissuti tra il 1500 e il 1700, tra i quali campeggia il busto di Jacopo Palma il Vecchio, che probabilmente è l'autoritratto dello scultore; altri tre (Calvi, Cattaneo e Ruggeri), sono collocati a monte di questi e appaiono rivolti verso di loro. L'insieme è completato dalla stele del Saluto all'ospite, opera sempre del Galizzi e con testo del Belotti. Con questa operazione, il giardino diviene luogo di rifugio adatto all’otium umanistico e specchio di un animo profondamente turbato dalle sorti della nazione. Dello stesso periodo sono il gioco delle bocce (con la caccia, una delle passioni del Belotti) con la famosa sestina S'ha da Tegn ol balì, basata su un'efficace relazione tra sport e vita e che appare anche come un esame di coscienza. Il secondo periodo segue immediatamente la breve ma triste esperienza del confino a Cava dei Tirreni ed è contrassegnato dall'edificazione dell'edicola della Madonna, dalle statue dei leoni e del busto del Gioppino. L'edicola, probabilmente un ex voto, segno della profonda fede del Belotti, racchiude un quadretto in marmo della Natività, interessante opera del giovane scultore cremonese Dante Ruffini; completano la cappellina due terzine tratte dalla Divina Commedia di Dante Alighieri che richiamano la necessità di una fede assoluta nel disegno provvidenziale di un Dio misericordioso. I leoni, opera dell'artista veronese Bragantin, rappresentano gli stemmi di Venezia e di Bortolo Belotti: particolarmente significativo è quello posto accanto alla stele del Saluto dell'ospite con l'emblema della quercia sradicata o il motto Non col vento, così spiegati da un amico: "la bufera non potè schiantare rami né strappare fronde, ma l'albero intero fu divelto dalla furia della tempesta e nel saldo terreno apparvero le forti radici spez-zate come membra ferite e lacerate", in cui la bufera è la violenza del regime fascista e le forti radici nel saldo terreno sono la tempra e la fedeltà di Belotti nei confronti della civiltà millenaria italiana e del popolo brembano. Il Gioppino, infine, opera del¬l'artista Alfredo Faino e dono degli amici del Ducato di Piazza Pontida, dovrebbe rappresentare il carattere dell'uomo bergamasco, a cui Belotti e i suoi amici aderivano, cioè "un onest'uomo, bonario, leale, pacifico", contrapposto all'ideale di uomo fascista, vendicatore, violento, prevaricatore e ambizioso. Poche, ma sempre interessanti, sono le realizzazioni dell'ultimo periodo: la statua della Fede, l'epigrafe Hyeme et aestate e la lapide tassesca. La prima, che conserva nel basamento una pergamena, è copia tratta da una statua della cattedrale francese di Reims e rappresenta la fede religiosa e la fedeltà alle scelte politiche e di vita, in quanto "simbolo di un ideale che non tramonti e che illumini ogni giorno della tua vita". La parola incisa sul basamento, "Sempre", esprime un concetto, l'assoluta coerenza di vita, che viene ribadito anche in una piccola stele con l'epigrafe Hyeme et aestate. Infine, la lapide tassesca con l'iscrizione "hinc discessit nobilissima tassorum gens…", presentata dal Belotti stesso come lapide settecentesca ritrovata nella sua casa natale zognese (abitata nel Seicento da Maffeo Tasso) e poi collocata nel giardino della villa. Probabilmente, però, si tratta di un'epigrafe dettata dallo stesso Belotti: l'operazione è di difficile interpretazione, forse richiama il senso della stele del Saluto dell’ospite e può essere intesa come sintesi delle realizzazioni artistiche del giardino, con riferimento alla civiltà brembana, bergamasca e italiana nel momento in cui veniva messa in crisi dallo scoppio devastante della Seconda Guerra Mondiale. E' quindi, forse un ultimo messaggio ai posteri di Bortolo Belotti, che nello stesso periodo si accingeva a completare la Storia di Bergamo e la Storia di Zogno e che sarebbe morto poco dopo in esilio, nel 1944, senza vedere la resurrezione della Patria.